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ll menù descritto da Giuseppe Pitrè

Non esiste palermitano che non conosca il tradizionale cibo del Festino

Non esiste palermitano che non abbia almeno una volta addentato il “gelato di campagna”, succhiato i babbaluci, litigato per un coppu di scaccio, o si sia rinfrescato con la grattatella.

Ma è anche vero che il cibo è “da passeggio”: il palermitano mangia e prega, mangia e cammina, mangia e ride, mangia e assiste ai fuochi.

Del menu del Festino parla per primo Giuseppe Pitrè: la “caponatina” e i palermitani sono equamente divisi tra chi preferisce le melanzane e chi ama i carciofi, poi olive, capperi, passolina e pinoli -. “Babbaluci” (lumache bollite) a picchi pacchiu (con pomodoro e aglio) per i quali si parla di tecnica vera e propria, per evitare di rompere il guscio che verrà poi gettato, rigorosamente, in strada.
Poi la vugghiuta (tonno bollito, tunnina, condito con olio, aceto e menta) e i caciotti (focacce con strutto e cacio), e muluni (anguria) agghiacciato.

Oggi qualcosa è cambiato, ma babbaluci e muluni non possono mancare, come anche "i favi a cunigghiu" (fave bollite con olio, aglio e origano), la famosa “pollanca”, la pannocchia bollita nei tradizionali calderoni di alluminio, e il purpu vugghiuto, il polpo bollito preparato al momento e servito a tocchetti con olio, prezzemolo e tanto limone.

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